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Et ancho il fumo ufcir fuor del cammino
Con tal fetor, che volterai la faccia
Torcendo il nafo, e ftarnutando infieme
Però t'avverto, che pofato il vafo,
Ti fugga, e torni poi quivi a poi' hore
Dove vedrai tutto quel popol morto;
Che farebbe un spetta colo nefando
A quel gran faggio, che produffe famo
Come quando una vasta antiqua nave,
Fabbricata dal Popol di Liguria
Se'n la nitrofa polvere s'appicca
Per qualche cafo inopinato il fuoco
Tutta s'abbrucia l'infelice gente,

In varii modi; e chi'l petto, e chi'l collo
Ha manco, e chi le braccia, e chi le gambe
E quale è fenza capo, e chi dal ventre,
Manda fuor quelle parti, dove il cibo
S'aggira per nutrir l'humana forma
Cofi parranno alhor quei vermi eftinti.

Beisp. Samml. 3. B.

Men

Ruccellai.

nienzini.

Menzini.

Von diesem Dichter ist schon oben B. II. S. 135. eine Probe aus seinen Satiren mitgetheilt. Unter feinen übrigen größern Gedichten wird das Lehrgedicht über die Dichtkunst, in fünf Büchern, vorzüglich hoch geschäst, welches im zwei ten Bande seiner zu Venedig 1769, in vier Duodezbånden gedruckten, Werke S. 117 ff. befindlich, und mit ziemlich zahlreichen Anmerkungen von dem Verfasser und vom del Teglia bei jedem Buche begleitet ist. Der hier mitgetheilte Anfang des Gedichts betrifft die Dichtkunst überhaupt, das dazu erfoderliche Talent und Studium, und den nöthigen Fleiß in der Wahl und Behandlung der poetischen Schreibart. In der Folge geht er die einzelnen Dichtungsarten nach einander durch, und verweilt sich am långsten bei den beiden vornehmsten, der epischen und dramatischen.

DELL' ARTE POETICA,
L. I. v. 1. fl.

Erto è il giogo di Pindo. Anime eccelle
A formontar la perigliofa cima

Tra numero infinito Apollo fcelfe.

Che la parte lafciar terreftre, ed ima
Sol quegli può, che per Natura ed Arte
Sovra degli altri il fuo penfier fublima.

Oh tu, che prendi ad illuftrar le carte,
Deh guarda in pria come 'l tuo cor s'accende
Di quel fuoco, che Febo a fuoi comparte.

Però che in vano un nome eterno attende,
Chi di grand' ali ha difarmato il fianco,
Nè, qual' Aquila altera, al Cielo afcende.

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Di paterno timor pallido, e bianco Gridò Dedalo al Figlio, allor che il vide Per l'etereo fentiero venir manco.

E quei del folle ardir tofto fi avvide Giovinetto infelice, allor che in pena Preda e ludibrio fù d'onde omicide.

La favola è per te, che adegui appena L'umil Colomba, e credi aver le penne Cinte d'invitta infaticabil lena.

Come fe la Barchetta, che foftenne Un picciol flutto,, andar voglia del pari Con l'altre Navi, e l' Olandefi Antenne.

Oh quanti credon d'Intelletti rari Sortire il pegio, e pofcia in lor paraggio Son Cotino, e Cluvieno *) aflai più chiari!

Meglio faria, fe luminofo raggio Non fcende in te di più propizia Stella, Lafciar le Mufe, e nuovo ordir viaggio.

Ma forfe bafterà limpida e bella Aver la mente? Ah quefto fol non basta Senz' arte, che le forme in lei fuggella.

Sappi, che la Natura ella fovrasta Qual nobile Regina; e l'Arte aggiunge Un tal contegno, che beltà non guasta.

Anzi l'accrefce, e'l fuo valor congiunge

All' Alma genorofa, e rapprefenta
A lei vicin ciò, che faria da lunge.

2

menzini.

Pria

Zwei schlechte Dichter, der erstere ein Franzos, der
beim Boeau zum Sftern, und der zweite ein Römer, `
der beim Juvenal vorkommt.

menzini.

Pria con le rozze travi il Mar fi tenta,
Poi la vita commise a un cavo legno
L'antica gente al vello d'Oro intenta.

Moftrò dunque Natura al vago ingegno
Come un tronco full' onda fi foftiene,
Poi l'Arte oprovvi il fuo fabrile ordegno.

Poi diffe: Andiamo alle Peruvie arene,
Cerchian la più remota ultima terra,
Ricca di preziofe argentee vene.

Or vedi come l'Arte è, che differra
Le dubbie ftrade, e come dal profondo
Pelago ufcendo, il porto al fin fi afferra.

Apollo oricrinito, Apollo il biondo,
Se dir baftafle, ogni poeta il dice,
E nel fuo dir pargli toccare il fondo.

Oh di fenno e di cuor turba infelice!
Ogni raggio, che a Febo il crin circonda,
Afpra faffi per voi folgore ultrice.

Pur, fe ti piace di folcar queft'onda,
Offerva meco, fe le firti, e i flutti
Schiviam per arte a i defir tuoi feconda.

Siccome fon degli edifici eftrutti
Prime le fondamenta, il parlar bene
Ha mill' altri bei pregj in un redutti.

Oggi il Sabino, e'l Nomentan fe viene, E pretende il primato; e chi dal monte Scende, per puro il fuo linguaggio tiene.

Come vuoi, che dilette, e che s'impronte
In delicata orecchia un, che fpavento
Mette alle Mufe, e n'avvelena il fonte?

Pria conofcer bifogna il puro argento Del Tofcano Parnafo; e'l pronto acume

Fiffar più, che al di fuori, al bel, ch'è dentro.

Dolce d'Ambrofia e d'Eloquenza un fiume
Scorrer vedrai dell' umil Sorga in riva
Per quei, ch'è de' Poeti onore e lume.

Ne chieder devi ond' egli eterno viva:
Perchè 'l viver eterno a quel fi debbe
Stil puro e terfo, che per lui fioriva.

E fe per grotti e fcogli ir gli rincrebbe,
Penfi, che non aveffe il piè gagliardo
Di montar dove ogni altro Ingegno andrebbe,

Or or t' intendo: neghittofo e tardo
Stimi, chi, come te, non iftrabalza
Senz' aver del coftume altro riguardo.

E non penfi s'è proprio, e fe vi calza
Un detto più, che l'altro; e sferzi, e fproni
Il puledro mal domo in ogni bálza.

Perchè per poetar non ti proponi

L'efempio di coloro, ond'.è, che in pregio
Italia vince l' Europee Nazioni?

E tu fegui color, che fon di sfregio
Alle nobili Mufe; e orpello e trefche
Credi, che fien paludamento regio.

Ciò che mandi il Perù, cio che fi pefche
Nel mar d'Arabia, in un deforme oggetto
Ne farà mai, che gli altrui fguardi adefche.

Anzi quel, che di ricco, or pur d'eletto
Gli metti in torno, viapiù al vivo feuopre
Della bruttezza il repugnante effetto,

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Menzini.

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